giovedì 29 dicembre 2011

Dopo giorni di completo vuoto...

E' da giorni che ho voglia di scrivere. E' da giorni che non so cosa scrivere. Non razionalmente, per lo meno. Son giorni strani questi... le feste mi fanno sempre sentire strana. Un po' uggiosa, un po' malinconica, un po' troppo incline alle seghe mentali (e non che nel resto dell'anno ne sia immune, lo avete intuito). Che poi queste non sono feste come tante: son le prime festività natalizie che passo da sola, in una casa diversa da quella in cui son cresciuta. Ebbene si, il fantomatico cordone ombelicale, almeno quello fisico, è stato totalmente reciso. Per quello psicologico c'è ancora da lavorare, però parto avvantaggiata, perché è da anni che mi impegno. Adesso comunque non si torna più indietro, siamo a un punto di non ritorno. La cosa terrorizza e al contempo inorgoglisce. Sembra surreale provare una simile commistione di sensazioni contrastanti. E' un vero ossimoro, una forma antitetica dell'emozione: terrore puro avvolto in uno strato di grande entusiasmo.
Be', comunque non è di questo che volevo parlare. Temo di aver un po' divagato, mi perdonerete.
In verità vorrei farvi gli auguri, primariamente. Visto che non ve li ho fatti per il Natale vorrei almeno riuscire a farveli per il nuovo anno. Vorrei augurvi un anno pieno di cose belle: stimoli, risorse, emozioni, persone. Vorrei augurarvi di non avere tanta fretta, di non dimenticare spesso le vostre priorità, di non rinunciare a fare le cose con cura. Vorrei augurarvi di guardare tanti film che meritano, di dedicare molto tempo alle cose che amate e  di circondarvi di persone con cui valga realmente la pena condividere le proprie passioni-inclinazioni. Spero non vi sentitate mai soli tra la gente. Se uno deve sentirsi solo, tanto vale che lo sia davvero. Sentirsi soli accanto ai propri cari è terrificante, non dovrebbe mai accadere. Vorrei augurarvi di non perdere mai il buon gusto, di trovare sempre il modo e il tempo per prendervi cura di voi, della vostra interiorità, di chi vi circonda e di ciò che vi circonda. Vorrei augurarvi di custodire con cura il vostro Tiffany, il vostro "miglior posto del mondo, in cui non può accadere niente di brutto"... certo, sempre che ne abbiate uno. Se ancora non lo avete... è giunta l'ora di trovarvelo, quindi muovetevi.
Con questo credo di aver finito. Il sermone è concluso, penso possiate andare in pace.

mercoledì 14 dicembre 2011

Midnight in Paris

Solo un grande come Woody può dilettarsi con i principali mostri sacri di tutto il '900, da Hemingway a Picasso, da Dalì a Bunuel, senza alcun freno inibitorio. Solo un grande come Woody può concepire un così leggero, elegante e piacevole gioco di fantasia. Un film delizioso, rassicurante come un tè macchiato caldo in una giornata piovosa.
Grazie, caro Woody.

giovedì 24 novembre 2011

Melancholia

Ieri sera credevo di saperlo, sospettavo. Oggi lo so.
Melancholia  non mi è piaciuto. E' noioso, inutilmente lungo, disomogeneo. Tenta di mettere insieme due film in uno. Il primo è un simil-Festen con meno mordente. Il secondo è una sorta di filmone apocalittico senza Tom Cruise (peccato) e senza effetti speciali da urlo. Quale sia il collegamento tra i due "mezzi film" non è del tutto chiaro. Quale ne sia il senso neppure.
Visivamente la sequenza iniziale è bella, ma questo è tutto ciò che si salva.
Melancholia mi ha tenuto sulla sedia due ore e un quarto, senza suscitare in me alcuna domanda, alcun interessante motivo per riflettere. Dopo esser uscita dal cinema assonnata e assai perplessa, ho voluto far passare la notte, in attesa che qualcosa in me si smuovesse. Così non è stato. Peccato.

martedì 22 novembre 2011

La pelle che abito

Una confezione molto elegante per un contenuto non troppo credibile (va bene il maniacale-il folle-il torbido... ma qui s'esagera!) e francamente un po' barocco.

giovedì 17 novembre 2011

One day

Un po' scontato, un po' melodrammatico, un po' assurdo (passano venti anni e i volti dei protagonisti restano identici). L'ultimo film di Lone Scherfig, regista di An Education, è un classico film sentimentale, con qualche battuta azzaccata e una spiccata tendenza, specie nel secondo tempo, alla lacrima facile. Colpisce per l'eleganza, la bellezza della fotografia, l'ambientazione struggente e maliconica. Il tutto è molto british, insomma. Colori autannali a sfare e malessere esistenziale a manetta.
Un film imperfetto ma gradevole, ben fatto, nel complesso.

P.S.: tra i miei lettori fissi non credo ci sia una sola donna, quindi l'annotazione sul fatto che il protagonista maschile è parecchio bellino risulta onestamente fuori luogo. Tanto per cambiare, però, è superbellina anche lei, per cui mi sento di poter dire che sul fronte estetico nessuno si può lamentare.

martedì 18 ottobre 2011

Carnage

Un film spietato. Sicuramente da vedere.

venerdì 14 ottobre 2011

Ladri di cadaveri

Ottanta minuti di puro raffinato divertimento.
E bravo Landis!

sabato 1 ottobre 2011

Contagion

Mereghetti non poteva dirlo meglio: è un buon film hollywoodiano che si dimentica in fretta.
Costruito ineccepibilmente, montato alla perfezione, dotato di un cast di eccellenza... però banale, freddino, direi fine a se stesso. La prima mezzora incolla alla sedia, poi il film perde di mordente, come se il realismo estremo non gli permettesse di emozionare davvero. Tutto questo per non parlare dello scontato lieto fine. Dopo novanta minuti di film l'immagine agghiacciante di Gwyneth Paltrow con la bava alla bocca, in preda a orrende convulsioni, non resta che un ricordo sfocato. La minaccia è stata sconfitta e lo spettatore può tornare a casa felice e contento.
Peccato che il giorno dopo avrà già dimenticato tutto.

domenica 25 settembre 2011

L'ultimo terrestre

Il film d'esordio di Gianni Pacinotti, in arte Gipi, ha un inizio a dir poco surreale. Cielo stellato e voce fuori campo. Un tizio telefona in diretta alla radio e comincia a lamentarsi di come l'imminente arrivo degli extraterrestri sul nostro pianeta potrà rovinare la carriera dei giovani calciatori italiani, già in parte minata dall'abbondanza di estracomunitari.
Non sono trascorsi neppure tre minuti e lo spettatore ha già capito tutto; ha già preso atto dall'autore di quale sarà il registro linguistico ed emotivo di tutta la visione. Gipi si presenta subito con estrema schiettezza, il che gli rende merito, a mio avviso. Narrazione semplice, scarna; tono surreale, talvolta quasi grottesco, un po' straniante. Chi gradisce resti pure, chi non gradisce può uscire dalla sala. Una cosa è certa: nessuno potrà dire di non essere stato avvisato.
Mi è piaciuto parecchio L'ultimo terrestre. Ne ho apprezzate l'originalità, la semplicità, la poesia. L'ho trovato un film geniale in diverse sequenze.
Quello che dispiace è che il regista, impeccabile nello stipulare il contratto con lo spettatore, non sia altrettanto coerente nel portarlo avanti fino alla fine: si impegna parecchio, ma talvolta, soprattutto nella seconda parte, si perde un pochino. Laddove il film punta sullo sguardo surreale i risultati sono notevoli; quando cambia approccio sfiora nella retorica e perde un po' in efficacia.
E' molto facile, e anche un po' scontato, dire che i veri alieni siamo noi. Non è altrettanto facile, invece, costruire una scena in cui un vecchio contadino insegna a una marziana come si pianta un pomodoro. Questa seconda sfida è senza dubbio la più intrigante e Gipi sembra avere tutte le carte in regola per affrontarla al meglio. La prossima volta deve solo crederci un po' di più.    

venerdì 16 settembre 2011

Reality News

Nove attori italiani in tournée in zona di guerra vengono sequestrati da un gruppo di terroristi. Il sequestro, a scopo politico, si trasforma in uno show televisivo, un reality seguito da milioni di telespettatori e che va in onda 24 ore su 24.
L'idea è carina, la fotografia ha una sua dignità e gli attori, di provenienza quasi esclusivamente teatrale, sono abbastanza bravi.
Temevo che questo film a basso costo di Salvatore Vitiello fosse semplicemente inguardabile. Mi son dovuta ricredere.

lunedì 12 settembre 2011

Chi giace nella mia bara

Son sempre stata affascinata da Bette Davis.
In primo luogo per questioni meramente affettive: somigliava da morire alla mia nonna paterna, l'unica nonna che io abbia conosciuto. Cioè, a dirla tutta, la mia nonna era un perfetto mix tra l'inquietante Bette Davis (quella capace di ficcarti un'accetta nella schiena non appena giri l'angolo, per poi cambiare stanza e sorseggiarsi un buon tè, mentre tu sei lì che giaci a terra morto-a) e l'elegante, gentilissima Angela Lansbury (quella che, se non fosse per il fatto che dove passa lei muore qualcuno, tutti vorrebbero avere accanto come zia).
In secondo luogo ritengo Bette Davis una delle più grandi attrici mai esistite e uno dei personaggi cinematografici più interessanti, ironici e brillanti - ovviamente, inutile dire che, come la maggiorparte dei grandi, ha avuto una vita abbastanza travagliata, si è sposata millemila volte, ha sofferto di alcolismo, etc etc.
Bette Davis ha saputo fare della sua bruttezza (qualcuno direbbe "bellezza anticonvenzionale", ma lei avrebbe detto bruttezza, perché la bruttezza dura tutta la vita, e questo è un bel vantaggio rispetto alla bellezza) la sua forza.
Se penso a film come Che fine ha fatto baby Jane o Nanny la governante, non posso fare a meno di visualizzarmi nella testa l'immagine di una donna capace di suscitare un senso di estrema inquietudine, talvolta anche di vera e propria paura, e al contempo una grande fascinazione.
Be', ad ogni modo... non la voglio tirar tanto per le lunghe. Il senso di questo post è più che altro quello di darvi una soffiata. Di recente ho scoperto una chicca del genere thriller, un film girato nella metà degli anni '60 da Paul Henreid: si chiama Chi giace nella mia bara.
Me lo son visto in uno di quei periodi in cui sentivo che dovevo iniettarmi la Davis nelle vene, dovevo farmi una dose di un buon thriller. Ma non uno qualunque, uno con la Davis, appunto. Fortunatamente questo film mi è venuto in soccorso, dandomi tra l'altro diverse soddisfazioni.
Non voglio raccontarvi nulla della trama, in questa sede. Non voglio darvi alcuna anticipazione. Vi dico solo questo: se amate la Davis non potete perdervelo. E se anche la Davis in certi momenti, quando ha certe espressioni, vi fa una paura bestiale (a me la fa, ad esempio), tenete presente che una volta che ve la vedrete davanti, proprio mentre avrà una di quelle espressioni tremende... ebbene, non riuscirete a staccare gli occhi da lei.
Buona visione, amanti dei thriller. Sparatevi questo film e poi fatemi un fischio per dirmi se è stato all'altezza delle aspettative.

sabato 27 agosto 2011

Come ammazzare il capo e vivere felici

L'ho già detto tante volte, al cinema esistono le minchiate carine e le minchiate indegne. Esistono anche le minchiate che sono capolavori, ma quelle per ora lasciamole stare.
Il film di cui vi parlo rientra sicuramente tra le minchiate carine. Strappa diverse risate, dura quanto basta per non diventare noiso e propone un cast a dir poco azzeccato.
Kevin Spacey che fa la merda è meraviglioso, per non parlare di Jannifer Aniston... volete sapere la novità? Ebbene, sedetevi prima. La Aniston, una volta tanto, riesce a far ridere.
Insomma, non vi aspettate chissà cosa, ma datemi fiducia: se volete una minchiata divertente e fatta dignitosamente questa può essere una buona soluzione.

venerdì 26 agosto 2011

Veronica Guerin

Storia vera della giornalista irlandese che, negli anni '90, cercò di combattare la criminalità legata al traffico di droga nel suo paese.
Fatto bene, ma un po' freddino e forse poco approfondito in certi aspetti.

giovedì 25 agosto 2011

Un amore splendido

Ieri sera ero molto stanca, affaticata  dallo stress e dai troppi pensieri, più che dal lavoro fisico. Necessitavo di due cose: solitudine e svago. Anzi, più che svago direi conforto, consolazione.
Per la solitudine non ho avuto problemi, ero sola in casa. Per il resto... mi è venuto in soccorso un film del '57. Un vero e proprio esempio di film tasca. Un amore splendido, di Leo McCarey, parte come una commedia dal ritmo ben sostenuto (ebbene si, anche un film d'amore può evitarti l'abbiocco) e diventa gradualmente un melodramma a dir poco struggente.
Cary Grant è, come al solito, ai massimi livelli. Se anche il film non fosse stato degno del titolo di film tasca,  la sua sola presenza avrebbe dato un bell'aiuto. La scozzese Deborah Kerr è azzeccata per la parte. Come sa struggersi lei per amore poche altre donne sanno farlo. La scenografia è molto elegante e l'uso del colore è funzionale alla rappresentazione degli stati emotivi dei personaggi.
Stiamo parlando insomma di un prodotto sicuramente ben fatto, ma soprattutto, di un meraviglioso confortino nelle serate un po' storte. Godibilissimo d'estate, forse ancor più indicato per un autunno piovoso o un freddo inverno.

P.S.: Questo film è più volte citato in Insonnia d'amore, commediola di inizio anni '90 con Meg Ryan e Tom Hanks. Ebbene ieri sera, dopo aver spento il lettore dvd, mi son messa a scarrellare alla tele per pochi minuti. A un certo punto ho beccato lui, Insonnia d'amore. Curioso, no?

mercoledì 24 agosto 2011

127 ore

E' fatto molto bene. Scorre molto bene.
C'è solo un problema: è uno dei film più angoscianti che si possa concepire di vedere. Rifornitevi di roba chimica, per il dopo visione. Non pensate di cavarvela con una semplice naturalissima tisana rilassante. Credetemi, non vi aiuterà.

sabato 20 agosto 2011

Non lasciarmi

Devo ringraziare mia sorella per questa soffiata. Ricordavo vagamente di aver visto il trailer, diverso tempo fa. Ricordavo di aver pensato che poteva essere un film valido, ma poi, come sovente accade, dato anche il bombardamento costante di nuove uscite, questo titolo era andato a finire nel dimenticatoio.
Ebbene, ieri sera ho rimediato e ne son stata felice.
Non lasciarmi è un bel melodramma sulla precarietà dell'esistenza umana, sul vuoto di senso che circonda tutti noi. E' la storia di tre giovani vite spezzate e di due amanti tenuti lontani. E' un'intensa riflessione su quello che nella vita conta veramente, su ciò che la rende meritevole di essere vissuta.
La trama di per sé è insignificante: si racconta in un minuto e tutto sommato dice ben poco. L'aspetto fantascientifico, potrei dire anche orrorifico, è appena accennato. Quel che conta è l'atmosfera, il senso di struggente maliconia che pervede ogni sequenza. Ottimi fotografia, costumi e cast.
Non è un film semplice, sia chiaro. E' tutto fuorché accondiscendente e non ha neppure un ritmo particolarmente sostenuto. E' un bel piombo, insomma, inutile negarlo. Però emoziona, e anche parecchio.

venerdì 19 agosto 2011

Lo spazio bianco

Maria è una quarantenne single. Vive in una città, Napoli, che è per lei sconosciuta. Insegna italiano in una scuola serale e passa le giornate al cinema. Un bel giorno conosce un uomo, se ne innamora, e resta incinta, ritrovandosi però completamente sola. La bimba nasce prematura e per Maria comincia una lunga estenuante fase di attesa. Maria non può far altro che aspettare. Aspettare che la bimba nasca, aspettare che la bimba muoia, aspettare che succeda qualcosa.
E' bello il film della Comencini. Quando mi son seduta sul divano e ho pigiato play sul telecomando, per un attimo ho temuto il peggio. Immaginavo un film banale, già visto, pieno di clichés all'italiana e girato da fiction di serie z. Mi son sbagliata. Lo spazio bianco è un film molto vero, intenso, ma non banale. E' un film asciutto, discreto, e ben calibrato, malgrado talvolta ecceda in immagini simboliche e surreali. Margherita Buy è strepitosa, dà il meglio di sé nell'espressione di quel dolore e di quella rabbia repressa che caratterizza tante donne nel nostro paese. Una volta tanto la sua recitazione è impeccabile, senza fronzoli né sbavature. Composta, sofferente, affascinante come non mai, malgrado la non più giovane età.

sabato 6 agosto 2011

In un mondo migliore

Un asciutto melodramma sulla violenza nel mondo, dall'arretrata Africa alla civilizzatissima Danimarca. Recitato impeccabilmente (ottima la scelta del cast) e diretto altrettanto bene, il film di Susanne Bier sa tenere in tensione lo spettatore senza soluzione di continuità. 
Forse un po' scolastico (tutto mira a avvalorare una certa tesi) ma senza dubbio di grande impatto.

sabato 30 luglio 2011

Come a Central Park

Ieri ho preso l'acqua. Ero in bici e ha cominciato a piovigginare. No, mi correggo, ha cominciato a diluviare. La fase del "vabbe', pioviggina" è stata talmente celere da non poter esser presa in considerazione. Si è tramutata in un colpo solo, in una frazione di secondo, nella fase del "cazzo!, diluvia".
E così mi son dovuta riparare. Prima sotto un tetto, poi sotto un albero. Infine ho raggiunto il videonoleggio, la mia seconda casa. Ero fradicia. Completamente fradicia. Sono stata lì mezz'ora circa, con i vestiti grondanti, ad aspettare che spiovesse. Nel negozio c'era un sacco di gente, per lo più clienti fissi, tutti fradici. In sottofondo i Rolling Stones. Abbiamo parlato del più e del meno: è partita la consueta amarcord sui bei tempi andati, son volati quei soliti due-tre commenti sul governo ladro... le classiche dinamiche da negozio di quartiere, insomma. Un posto bazzicato dalla solita gente, che si conosce tutta, che parla sempre delle solite cose e che ha l'illusione di non invecchiare mai semplicemente perché tutti i giorni rivede le solite persone e quindi invecchia insieme a loro.
Fuori c'era un profumo buonissimo. La pioggia ha il potere di offuscare lo smog, che meraviglia!
Era bello respirare l'odore della pioggia. Era bello esser costretti a stare tutti lì, fermi, senza fare nulla, in sostanza, se non attendere. La gente ha sempre qualcosa da fare: un appuntamento imminente, un impegno lavorativo, una lunga lista di missioni da portare a termine... c'è sempre un valido motivo per andare di corsa. E invece quando diluvia no. Quando diluvia ci si ferma. Ci si ferma e si aspatta che smetta. Non si può far altro. Come nei film di Woody Allen. La gente è in mezzo a Central Park, scoppia un nubifragio e allora deve rintanarsi da qualche parte in compagnia della persona di cui poi, pochi minuti dopo, scoprirà di essere innamorato-a alla follia. Ecco, credo sia per questo che amo la pioggia, perché mi ricorda Woody.
Be', ad ogni modo, questa sera vi voglio dispensare una sola perla di saggezza: stare fermi è meraviglioso. Quando ne avete occasione obbligatevi a stare fermi. Fate come se piovesse, mettetevi in pausa. Come foste a Central Park. Tutti abbiamo bisogno di Central Park, e soprattutto della pioggia.
Buonanotte lettori dell'estate. Beccatevi questa citazione (non a caso, di Woody) a tema pioggia.


Amo la pioggia, lava via le memorie dai marciapiedi della vita!

Provaci ancora Sam

venerdì 29 luglio 2011

Paranormal Activity

Ieri sera mi è sembrato sostanzialmente molto noioso, a tratti ridicolo.
Oggi, ripensandoci, mi appare pure peggio. Paranormal Activity è un horror girato male - ok la finta amatorialità, ma a tutto c'è un limite -, nonché incapace di provocare la benché minima paura-inquietudine. E' un film basato sul nulla; a Roma direbbero "na sola".
Inutile, quasi irritante.


P.S.: non ne posso più degli horror girati con la telecamera in spalla. Ogni volta dò loro una chance e me ne pento amaramente. Quando capirò una volta per tutte che a me questi film fanno irrimedialmente pietà?

mercoledì 27 luglio 2011

The tree of life

Se cercate una storia siete fuorti strada.. Se cercate la narrazione, la trama, il ritmo... ve lo dico schiettamente, state lontani da questo film.
The tree of life la trama quasi non ce l'ha. E' cinema puro: una lunga sequela di immagini atte a suscitare emozioni. La narrazione è minimale e in certo qual modo anche superflua. The tree of life è un pippone filosofico sul senso della vita, sull'eterno conflitto tra l'archetipo materno e quello paterno, sulla disarmante arbitrarietà del caso.
Tutto, in questo film, è estremamente reale, ma al contempo quanto mai metaforico. Molte sequenze hanno una potenza visiva (e visionaria) che si fatica a descrivere. La fotografia, il montaggio, le inquadrature, il cast... ogni elemento si incastra alla perfezione. Esteticamente l'ultimo film di Malick è semplicemente maestoso. Peccato che sfiori il manierismo e l'autocelebrazione.  

martedì 26 luglio 2011

I ragazzi stanno bene

Una coppia di lesbiche, prossime ai cinquant'anni, vive felicemente con i propri figli, entrambi frutto di inseminazioni artificiali. Un bel giorno la famigliola felice entra in contatto con il donatore anonimo, il padre biologico dei ragazzi. Da quel momento tutto cambia.
Recitato e diretto magistralmente, I ragazzi stanno bene è un classico film sulle difficoltà dei rapporti familiari. La famiglia descritta non è delle più comuni ma il racconto evolve in modo quanto mai tradizionale, direi prevedibile.
Resta comunque un film ben fatto.

lunedì 25 luglio 2011

American Life

Qual è il posto migliore per far crescere un figlio? Questo, l'interrogativo che si pongono i due protagonisti del film. Una coppia non sposata, economicamente precaria, ma profondamente innamorata e desiderosa di creare il nido ideale per il bimbo in arrivo.
L'ultimo film di Mendes è molto dolce, genuino nella sua positività. Tratteggia il ritratto allarmente dei nostri tempi: gente che a trent'anni compiuti non ha ancora idea di cosa compicciare nella vita.
Nel fare questo, però, lascia allo spettatore un messaggio di sparanza, strappandogli diversi sorrisi.
E' un film che si presenta in punta di piedi, senza fare alcun rumore. Però rimane nel tempo, ed è questo che conta.

Esagitati del mare? No, grazie.

Non ho mai capito perché  il mare sia una di quelle cose che ti deve piacere per forza. Che poi non è che ti deve piacere e stop. Ti deve piacere proprio tantissimo, in tutti i momenti, a tutte le ore. D'estate devi avere voglia, se ne hai occasione, di andarci tutti i giorni. Non esiste che uno faccia le vacanze in un'isola e non vada al mare sempre e comunque. Se non ci va ha qualche problema.
Ebbene, se tutto ciò è vero, io credo di essere una con qualche problema. L'estate non è la mia stagione preferita e prendere il sole è uno sport nel quale son negata (son bianca cadeverica a prescindere). Detesto le spiagge affollate. Mi affascina il mare ma lo preferisco di gran lunga d'inverno. Non ho l'ossessione della solarità. Mi piace il silenzio. Mi piace il freddo. Mi piace il vento. Che devo farci, son fatta così.
Questa qua sotto è un'immagine scattata da Vittorio Sella, il pioniere della fotografia alpinistica (si parla della fine del 1800, tanto per intendersi), colui a cui, diversi decenni dopo, si sono ispirati grandi nomi della fotografia statunitense, tra cui Richard Weston.
Ebbene si, dopo quindici giorni di vacanza su un'isola bellissima, ritorno sul blog mostrandovi un ghiacciao.
Se anche voi fate parte della folta schiera di "esagitati del mare" probabilmente non apprezzerete un gran che. In caso contrario... buona contemplazione!


venerdì 1 luglio 2011

Habemus papam

Può, un cardinale appena eletto papa, rifiutarsi di adempiere al suo dovere?  E' possibile che il senso di anadeguatezza lo spinga, nel momento della presentazione ufficiale, a fuggire in preda ad un vero e proprio attacco di panico? La risposta è sicuramente affermativa. Nella storia non è mai accaduto, però potrebbe accadere. Alla fine un papa è prima di tutto un uomo e Nanni Moretti è di questo che ci parla, di un semplice uomo.  
Per sua stessa ammissione, Habemus Papam non è un film sulla chiesa o sul clero. Per lo meno, non ha la pretesa di descrivere come è veramente il clero; racconta semmai come potrebbe essere, o come il regista forse vorrebbe che fosse.
E' fatto benissimo l'ultimo film di Moretti, girato in modo ineccepibile. Soprattutto, cosa assai rara, riesce molto bene a coniugare il registro comico - alcune gag un po' banalotte, ma pur sempre divertenti - con quello tragico - il dramma esistenziale di un uomo che non si sente all'altezza del compito di cui è stato investito.

sabato 25 giugno 2011

The fighter

The fighter, il combattente, è il classico esempio di film sportivo americano che racconta la rivincita di un pugile sfigato. Come lui ce ne sono altri millemila nella storia del cinema. Eppure questo film colpisce in modo particolare: come dice la Aspesi incanta. Ha un ritmo appassionante, un ottimo cast, una colonna sonora che "spacca" e soprattutto, qualità preziosissima, sa bilanciare in modo perfetto diverse componenti: quella più prettamente agonistico-sportiva, quella sociale e quella psicologico-familiare.
Un prodotto veramente di qualità.

lunedì 20 giugno 2011

Incontro con una vera Signora

Ci siamo ritrovate lì, insieme. Entrambe dietro le quinte di un maestoso elegantissimo cinema-teatro fiorentino. Lei era lì per lavoro (doveva entrare in scena dopo pochi minuti); io per un tirocinio universitario (dovevo dirle quando entrare in scena). Al di là delle pesanti tende, una platea vastissima, tutta in ghingheri, attendeva con ansia. Attendeva Lei, non Me, ma per la sottoscritta l'emozione era tale che sembrava attendessero Noi.
E' abissale la differenza tra Lei e Noi. Lei presuppone solitidine, unicità, distacco. Noi presuppone condivisione, vicinanza, unità di intenti.
E' anche abissale la differenza tra dare del lei a una persona, quando le si parla, e darle del tu, che poi alla fine è un po' come un noi ma al singolare.
Oggi giorno si tende sempre a dare del tu. Siamo sempre tutti in confidenza con tutti. Che si conosca o meno l'interlocutore, ci si relazione a questi tramite il tu. Il tu è dgiovane, caldo, informale. Il lei è antiquato, asettico, conformista. In una società in cui a quarant'anni si è chiamati ragazzi, sembra non esistere alternativa: ci si dà perennemente del tu.  
Ebbene, qualche sera fa, in quel magnifico cinema-teatro di cui vi parlavo, sono stata a contatto con i maggiori esponenti dell'alta borghesia-aristocrazia fiorentina. Gente con tre, quattro, anche cinque cognomi. Critici d'arte, giornalisti, poeti, nullafacenti di nobile famiglia... c'erano tutti, insomma. Quasi nessuno di loro si è rivolto a me con il lei. D'altronde, perché dare del lei alla ragazza che nell'assegnare i posti in sala ti rifila l'unica sedia da cui si vede male. Perché dare del lei a quella che non ti fa entrare in platea con quaranta minuti di ritardo. Perché trattare alla pari una tirocinante squattrinata. E' molto meglio darle del tu, tanto per ribadire le gerarchie. Perchè alla fine è questo il punto: è tutta una questione di gerarchie.
Sono stata a chiacchierare con Isabella Rossellini, quella sera, in quei pochi minuti dietro le quinte. Ella mi si è rivolta sempre con il lei. E' stata cordiale, gentilissima e rispettosa. Avendo notato la mia forte emozione mi ha rassicurato: "stia calma, è un contesto informale questo, vedrà che ce la faremo". Ce la faremo, le sue esatte parole. Ebbene si, è comparso quel Noi. "Ma allora è vero", mi son detta tra me e me: la gente aspetta Noi, aspetta che insieme, io e lei, si dia il via allo spettacolo.
E' stato bello poter scambiare appena qualche parola con una attrice di quel calibro e percepire da parte sua una grande dose di rispetto e di umiltà. E' stato emozionante avvertire quel Noi, perché dietro il Noi si celava il riconoscimento del mio ruolo. Il ruolo di una che deve solo dirti quando entrare in scena ma che se sbaglia ad avvisarti ti rovina lo spettacolo. E' stato anche molto carino che lei mi volesse rincuorare, in modo quasi un po' materno, nel momento di maggior panico e che però, al contempo, volesse darmi del lei, trattarmi alla pari.
Sembrerà una banalità, me ne rendo conto, ma oggi come oggi un fatto del genere non passa inosservato.

sabato 18 giugno 2011

Il truffacuori

Realizzare una commedia a modo non è cosa facile. Il rischio di cadere nei cliches è sempre in agguato, per non parlare del problema ritmo: nelle commedie deve essere arzillo, scoppiettante, altrimenti la gente s'abbiocca. Bisogna scansare la volgarità,  l'eccessiva prevedibilità, le lungaggini abbassapalpabre. Bisogna divertire, intrattenere e possibilmente far riflettere. Bisogna non prendersi troppo sul serio, ma evitare al contempo di scadere nel grossolano.
Raramente si vedono commedie che soddisfino tutti questi requisiti. Io qualche giorno fa ne ho vista una e quindi ve ne rendo partecipi.
Si chiama Il truffacuori ed è un prodotto francese. A breve secondo me gli americani ne faranno un remake. E scommetto tutto quello che ho che non sapranno reggere il confronto.

mercoledì 8 giugno 2011

Solo un padre: ma è possibile che Argentero sappia quasi recitare?

Sul fatto che Luca Argentero sia bello, non ci piove. Sul fatto che sia dotato di un numero di neuroni attivi contabili, presumibilmente, con almeno due mani, possiamo stare discretamente tranquilli. Quando uno lo sente parlare intuisce che non è proprio un microcefalo. La vera notizia, invece, è che sa anche recitare dignitosamente. In questa commedia di qualche anno fa, dal tono lieve e un po' sommesso, Argentero dimostra una vaga capacità di emozionare. Sarà che il ruolo gli si addice, chissà... fatto sta che si difende. E vi dirò di più, anche il film si difende.
Solo un padre riesce, malgrado alcune sbavature, a mantenersi discretamente in bilico tra commedia grottesca e dramma. Talvolta punta un po' sulla facile commozione, sulla lacrimuccia che fa sentire tutti tanto sensibili. Complessivamente, però, non cade nell'eccesso di retorica o di sentimentalismo. E' abbastanza asciutto nel tratteggiare il dolore di un giovane uomo che ha perso la moglie e deve fare i conti con rimpianti e sensi di colpa.

giovedì 2 giugno 2011

Mangia prega ama

Un'accozzaglia di luoghi comuni. Lungo, lento e piuttosto irritante.

martedì 31 maggio 2011

My son my son, what have we done?

Penso che le mamme andrebbero "uccise" verso i diciotto-venti anni, non oltre. Bisognerebbe ucciderle con violenza, e poi farle rinascere, per costruire con loro un rapporto veramente paritario. Bisognerebbe accantonare la rabbia adolescenziale e dar spazio alla tenerezza. Tramutare la rabbia in tenerezza. Riuscire ad affermare se stessi e la propria "adultità", senza per questo dover rinunciare al rispetto reciproco e alla condivisione.
Se fossimo in un mondo perfetto le cose andrebbero così. Nel nostro mondo invece è tutto diverso. I figli, specie i maschi, a quarant'anni hanno ancora bisogno della mamma per sapere dove tengono i calzini puliti. E se non è la mamma a dir loro dove trovarli, lo fa la compagna, il surrogato con meno rughe.
Le mamme incomcobono, straparlano, fagocitano. Il loro amore sovente soffoca e i figli faticano a crescere, a trovare la loro strada. I maschi son molto spesso succubi e le femmine non sempre se la passano tanto meglio.
Ebbene, l'ultima fatica di Herzog racconta di un matricidio. Uno di quelli veri, non metaforici. Racconta del delirio di un uomo che compie un gesto estremo per difendere-trovare-rivendicare se stesso. Racconta di uno che non ce l'ha fatta a tramutare la rabbia in tenerezza. Uno che c'è rimasto sotto, per intendersi. Purtroppo, nel far questo, il regista trascura l'analisi delle cause della tragedia. Concentrato nel trasporre visivamente e simbolicamente la follia del protagonista, cosa che tra l'altro gli riesce assai bene, Herzog fatica un po' ad andare oltre. Il film inquieta parecchio in certe sequenze, ma nel complesso l'operazione risulta un po' fine a se stessa, un po' superficiale e autoreferenziale.
Notevole il cast.

lunedì 23 maggio 2011

Revolutionay road

Ci son certi film che andrebbero visti da soli, in silenzio. Bisognerebbe permettere loro di invaderci, senza paura delle conseguenze. Revolutionay road è uno di quelli. Un film che merita il silenzio e la solitudine.
C'è qualcosa di sottilmente angoscioso che pervade questo melodramma. Fin dai primi minuti si ha la sensazione che ci sia ben poco da star sereni. Accadrà qualcosa di tremendo. Si tratta solo di capire quando e come.
Il film si svolge negli anni '50, in un sobborgo del Connecticut. I protagonisti sono giovani, belli, pieni di sogni e di speranze. Apparentemente hanno tutto - una bella casa, due teneri frugoletti, un futuro radioso. In verità si sentono svanire lentamente, giorno dopo giorno. Più la loro condizione socio-economica migliora, più aumenta il divario tra i loro sogni e la loro realtà, tra le illusioni giovanili e il grigiore della quotidianità. Nell'America precostituita del boom economico non c'è spazio per sogni e aspettative. Tutto ciò che conta in una famiglia è che la casa sia sempre in ordine, la moglie sempre sorridente e il marito sempre in carriera. Il resto è retaggio fanciullesco, sciocca ingenuità, inutile perdita di tempo.
Non è facile digerire un film così. Nella sua perfetta compostezza - niente sbavature, niente eccessi nella recitazione, nessun abuso di metafore e visioni simboliche - è lucido e spietato.

mercoledì 11 maggio 2011

lo stravagante mondo di Greenberg

Greenberg è un quarantenne newyorkese, rocker fallito, divenuto poi falegname,  appena uscito da un brutto esaurimento nervoso. Sta cercando di riprendere pieno possesso della sua esistenza ma fa una gran fatica. Il senso di vuoto è devastante per lui, l'angoscia esistenziale sovente lo paralizza. E' un nevrotico, un timido e sostanzialmente un infelice. Greenberg rimpiange i Duran Duran e percepisce nei ventenni di oggi "una sicurezza che è terrificante"; vorrebbe confrontarsi con qualcuno che conosca il significato di agorafobia ma intorno vede solo giovani "sinceri e interessati alle cose", figli di "genitori perfettini".
C'è un po' di Greenberg in molti di noi, secondo me.
Forse è per questo motivo che si tende a perdonare al film alcune lungaggini di troppo e qualche arrotolamento su se stesso: Ben Stiller è molto bravo a incarnare i mali della modernità e noi spettatori, che ci piaccia o meno ammetterlo, intravediamo in questo film qualcosa di familiare, di malinconico e di molto autentico.

lunedì 9 maggio 2011

The ward - il reparto

Classico horror psicologico ambientato in un manicomio. Nulla di nuovo. E' fatto bene, ha un cast accettabile, solo che è già visto. Non si ricorda i giorni successivi, non lascia molto su cui riflettere.
Un dignitoso prodotto di genere, insomma. Guardatevelo sul divano, in pieno relax. Mangieteci un gelato, semmai (tanto non inquieta a tal punto da farvelo restare indigesto), e godetevi la serata. Non aspettatevi il capolavoro però, perché ne rimarrete senza alcun dubbio delusi.

martedì 26 aprile 2011

A single man

E' glaciale A Single Man, opera prima di Tom Ford. E' un film accurato, calibrato, misurato in ogni aspetto. Talvolta anche intenso, assai efficace nel tratteggoiare psicologicamente il protagonista; altre volte un po' troppo compiaciuto, forse troppo preoccupato di apparire impeccabile.
Insomma, per i perfezionisti e per gli esteti è senza dubbio il massimo cui si possa aspirare. Chi cerca l'emozione potrebbe però restarne un po' deluso.

mercoledì 20 aprile 2011

Fantasie notturne

Come forse avrete notato giorni fa, mi son stufata di proporvi solo citazioni con la parola buonanotte. Lo trovo tutto sommato limitante. La buonanotte si può augurare in molti modi diversi, per cui anche con le citazioni trovo sia giusto spaziare, andare un po' oltre.
Stasera, ad esempio, prima di andare a dormire, mi va di salutarvi con questo pensiero, tratto da Alta Fedeltà, di Stephen Frears (a sua volta preso da un romanzo di Hornby).

Ho capito che... sono solo fantasie. Chiaro? E... e risultano allettanti perché... non danno nessun problema. [...] E io sono stanco di immaginarmi le cose, perché le fantasie, per definizione, sono irreali. Quasi mai portano vere sorprese e quasi mai... soddisfano. Giusto... E mi hanno stancato.

Ecco, non fatevi stancare dalle fantasie, le fantasie sono una gran cosa; imparate soltanto a farne buon uso. Relegate alle ore notturne, ad esempio.
Buonanotte amici, statemi bene.

venerdì 15 aprile 2011

Qualcosa di speciale

A tutti nella vita capita di perdere una persona cara. All'inizio il dolore è cocente, lancinante. E' una di quelle robe che non si può spiegare a parole: semplicemente è un malessere che annienta.
Poi col tempo arriva la nostalgia, la tenerezza... ti ritrovi a pensare a quella persona che non c'è più con il sorriso sulle labbra, invece che con le lacrime agli occhi. Fino a qualche tempo prima il ricordo ti feriva immensamente; adesso ti fa quasi star bene, ti rassicura. Ripensi al suo volto, alla sua voce, ai bei momenti vissuti con lei... improvvisamente tutto si rasserena e tu capisci: in qualche modo stai elaborando la perdita. 
Ebbene, non si può arrivare alla nostalgia e al sorriso sulle labbra se non si passa dal dolore cocente. Non si può esser riscaldati e coccolati dal pensiero di chi si è amato se prima non ci si sente raggelare dalla sua mancanza. Bisogna piangere, urlare, inveire contro tutto e tutti. Bisogna farsi travolgere dal dolore e dalla rabbia, altrimenti non si torna più a vivere. La morte del nostro caro diventa la nostra morte.
Ecco, per capire tutto questo non serve vedere Qualcosa di speciale. Basta avere un minimo di buon senso, diciamo. E allora a cosa serve vedere un film del genere? Onestamante viene da chiederselo. La vicenda di questo film, in bilico tra commedia e melodramma, è quanto mai scontata; il ritmo non è che scoppietti. Insomma, se volete un consiglio, risparmiatevi i novanta minuti di film e se un domani ne aveste bisogno tenete a mente quello che modestamente vi ho appena suggerito: in caso di lutto non cercate scorciatoie, accettate il dolore e fatevene una ragione. Col tempo starete meglio.

lunedì 11 aprile 2011

Il discorso del Re

L'ho visto circa un mese fa, al cinema. Ero molto raffreddata, devo ammetterlo, e questo forse non ha aiutato.
Il film mi è parso senza dubbio ben fatto: esteticamente impeccabile nella sua estrema asciutezza (la messinscena è assai scarna, minimale); nulla da dire poi sul cast, veramente eccezionale.
Il discorso del Re è il classico film che non può non piacere. La sceneggiatura regge, la psicologia dei personaggi è trattata con gran accortezza, la recitazione è impeccabile e le scelte stilistiche sono quanto mai azzeccate. La macchina fissa si addice al contesto, non risulta troppo pesa; lo stesso dicasi per l'uso moderato di alcune lenti un po' deformanti, perfettamente funzionali a narrare lo stato d'animo del protagonista. E' tutto ben calibrato e shakerato, insomma.
Eppure, non so neppur' io perché, di questo film non mi vien voglia di scrivere. E' come se lo avessi un po' rimosso, credo. Mi è passato davanti senza lasciare troppe tracce.
Ripeto, forse la colpa è del raffreddore. Ad ogni modo, se vi capita sotto mano, cercate di vedervelo, poi magari mi fate sapere.

giovedì 7 aprile 2011

Se Cindy Sherman vivesse in questo scempio...

In un paese dove l'uomo medio vuole la mela che "sa di fica" e le donne tra i venti e trenta anni non devono mirare ad altro che ad andare a letto con il primo ministro, immagino che la statunitense Cindy Sherman si sentirebbe molto a disagio.
Se una che vive negli States è riuscita nei primi anni '80 a concepire immagini del genere, non oso pensare cosa potrebbe fare se vedesse lo scempio nel quale adesso, nel 2011, sta affogando il nostro bello stivale.
La sua accusa nei confronti dell'uso tipicamente cinematografico e televisivo del corpo femminile fa quasi sorridere, vista oggi, da qui. A noi italiani tutto ciò non colpisce quasi più. Siamo andati oltre, ormai. Abbiam perso ogni briciolo di decenza.
E' una gioia sapere che Cindy Sherman non vive in Italia. Temo sarebbe troppo dura per lei tollerare certe cose: dev' essere un tipino sensibile, non reggerebbe il colpo.
Peccato, purtroppo, che ci viviamo noi.




Centerfolds 1981, Cindy Sherman

Attimi di autentica tranquillità

E' primavera. La tua gamba oscilla penzoloni da un balcone. L'altra è appoggiata sul muretto. L'aria è perfetta: né troppo fredda né troppo calda. In jeans e maglietta si sta divinamente. Una volta tanto hai azzeccato il vestiario. Aspetti un amico. Guardi la campagna intorno a te. Ti pregusti una giornata di totale sfacciatissimo relax. Tutto è come deve essere: i colori, i sapori, i profumi... il ronzio armonioso delle api. Nessun pensiero, nessun' ansia, nessun programma. Soprattutto, nessuna voglia di programmare. Attimi di pura incontaminata tranquillità.
Bisognerebbe vivere spesso momenti come questi. Bisognerebbe imporsi di avere almeno cinque minuti al giorno in cui si è davvero tranquilli. Non dico sereni: la serenità è una roba grossa, la si valuta sul lungo periodo. Non parliamo poi della felicità! Basterebbe esser tranquilli. 
Ebbene questa sera ci salutiamo così, con un auspicio: trovate il vostro "balcone soleggiato" e coltivatelo gelosamente. Non fatevi logorare dall'ansia, se ci riuscite.

Un abbraccio e buonanotte, amici cari. Vi congedo con l'ansioso per eccellenza, il grande Woody.


Linda: Hai niente per un attacco d'ansia? Ho bisogno di un tranquillante...
Sam: Ce li ho tutti, io sono una farmacia... che cos'è che non va?
Linda: Ho una specie di crampo alla bocca dello stomaco.
Sam: Sì? E come fai a sapere che è ansia? Chi ti dice che non è paura?
Linda: Lo stomaco mi va su e giù...
Sam: Senti che ti manca il respiro?
Linda: Sì, anche... ho il terrore di qualcosa, e non so di che cosa.

Provaci ancora Sam

mercoledì 30 marzo 2011

Una proposta per dire sì

Prevedibilissimo, scontato come non mai; per questo anche rassicurante, in certo qual modo.  
L'irlanda fa sempre colpo, certi sketch malgrado tutto strappano una risata e lui  è di una bellezza (e di un fascino) disarmante, al limite della tollerabilità.
Insomma, una tipica romanticata vista e stravista, adatta da somministrare la domenica sera.

giovedì 24 marzo 2011

Il cigno nero

Ha gli occhi iniettati di sangue il cigno nero interpretato da Natalie Portman. Si muove sinuoso, leggero, sensualissimo pur nella sua scheletricità. Ha qualcosa di  oscuro, di demoniaco: rappresenta tutto ciò che il cigno bianco teme, ma latentemente anche spera, di diventare. La macchina da presa non lo molla un secondo, quasi fosse rapita da quel gracile ambiguo corpo sospeso per aria. Quel corpo capace di incarnare sia il cigno nero sia il cigno bianco, sia il candore sia la passionalità.
In effetti l'ossessione del corpo, della carne è cosa quanto mai comune (attuale, oggi più che mai).
La protagonista del film è ossessionata dal suo corpo: lo mette alla prova incessantemente (talvolta addirittura lo sfregia, in preda a vere crisi autodistruttive); lei vuole raggiungere la perfezione e il prezzo della perfezione è l'esercizio fisico portato alle estreme conseguenze, l'autolesionismo.
La madre, possessiva fino all'inverosimile, è ossessionata da quello stesso corpo, nel quale in fondo rivede se stessa. Lo vuole proteggere, ma finisce per reprimerlo, per soffocarlo.
Infine c'è l'insegnante di danza, il viscido e fascinoso Vincent Cassel, che fa di quel corpo la sua migliore preda. Lui provoca la giovane donna, la tocca, la agguanta, l'agita... cerca di scatenare in lei il fremito della passione. Le urla "balli come una frigida!" ma lei non replica. Soffre per l'umiliazione ma subisce in silenzio.    
Tutti quanti, spettatori inclusi, sono catturati dalla fisicità della Portman, dal suo fascino attrattivo-repulsivo, dalla profonda ambiguità di questo suo personaggio: prima timida e remissiva, tecnicamente eccellente come ballerina ma emotivamente fredda, sessualmente noiosa; poi spregiudicata e passionale, violenta e imprevedibile, un turbine di emozioni.
Sembra una diva degli anni '10 l'esile attrice: inquieta ed inquietante, pervasa da un malessere profondo che può portarla a compiere azioni inenarrabili. Sembra la protagonista di un horror gotico con tutti i crismi.
La vera diva, quella degli anni '10, appunto, vive tutto in modo estremo: recita a tutto corpo, raramente in primo piano, fa delle gran smorfie... prima è super-candida poi si lascia attrarre dal maligno e allora Dio solo cosa può succedere. Infine muore, di solito in avampiano, davanti allo sguardo attonito dei suoi ammiratori.
In questo caso siamo abbastanza lontani dalla raffigurazione dell'eroina gotica di inizio 900, ma certo qualche  similitudine permane.
Per concludere: l'ultimo film di Aronofsky è un film forte, estremo, che pecca forse per eccesso di metaforicità. E' un film che fa contrarre i muscoli e chiudere gli occhi, una di quelle opere che non lascia alcuno scampo ai suoi spettatori, deve stimolarli e sconvolgerli continuamente. Se cercate un momento di relax statene alla larga. Se siete in vena di un trhiller spicologico con sfumature quasi orrorifiche direi che è il film giusto per voi.

giovedì 17 marzo 2011

Scott Pilgrim vs il mondo

Lo hanno fatto passare come un film da adolescenti, un prodotto tipicamente per giovani nerds. E' tratto da un fumetto, ha come protagonista un nerd, usa un linguaggio assolutamente dgiovane, da videoclip/videogame... In effetti, per concludere, Scott Pilgrim è un film da adolescenti.
Il fatto però è che questo ha fatto sì che molto del pubblico per così dire "adulto" lo scansasse, ed è un vero peccato. Scott Pilgrim ha parecchio da insegnare, e non solo ai ragazzini.

mercoledì 16 marzo 2011

Amori e altri rimedi

Lui è decisamente bello, però anche un po' stronzo. Non un autentico stronzo, ma uno di quelli che simula di essere stronzo perché ancora non ha trovato la donna giusta. Lei fa la sua porca figura. Non è la classica bellona, è la tipa interessante che difficilmente passa inosservata. Insomma, sono giovani e avvenenti. Si incontrano, fanno una fraccata di sesso (anche un po' spinto, diciamocelo) e alla fine si innamorano.
Nulla di nuovo, né di particolarmente originale, se non fosse che lei è malata di parkinson. Che dire... il film si lascia guardare, ma lo zucchero alla lunga annoia un po'.

martedì 15 marzo 2011

Cella 211

Un giovane secondino appena assunto in un carcere di massima sicurezza viene colpito alla testa: da quel momento è l'inizio della fine. Nel carcere scatta una rivolta carceraria e l'uomo si ritrova suo malgrado coinvolto. Per salvarsi la pelle prova quindi a spacciarsi per un detenuto.
Avvincente film di genere dal montaggio serrato e adrenalico. Il cast funziona e le due componenti, quella più prettamente di intrattenimento e quella invece più politica, sono tutto sommato ben calibrate. Peccato per qualche sbavatura retorica di troppo, nella parte conclusiva. Per il resto... il filme merita, non c'è che dire.

sabato 12 marzo 2011

Non è più l'era della Pimpa

Quando ho cominciato a frequantare Y. R. avevo da poco smesso di guardare la Pimpa.
Y. R. è diventato in poco tempo la mia seconda casa: per metà negozio di musica e per l'altra metà videonoleggio, questo posto ha rappresentato per me un luogo piuttosto significativo. Nel giro di diversi anni son passata, cinematograficamente parlando, dalla Pimpa a Pulp Fiction (noleggiato a sedici anni, anche se non si poteva, perché "si vabbe', sei minorenne... ma tanto sei sveglia, no?"), musicalmente parlando dai Sex Pistols (che comunque non rinnego, sia chiaro) ai King Crimson.
Da Y. R. ci sono due stanze principali, una con la musica e una con i film. Nella stanza dei film, fino a poco tempo fa, c'era una finestra, attraverso la quale si accedeva a una terza stanzina. Il tipo che ti noleggiava i film era rinchiuso lì, nella stanzuccia stretta e lunga. Tu non potevi acceddere alla stanzuccia, ma parlavi col tipo  tramite la finestra. Era una finestra aperta sul mondo dei film a nolo, diciamo. Una finestra aperta sull' infinita varietà di emozioni che tutti quei film avrebbero potuto potenzialmente suscitarti. Se noleggiavi In viaggio con Evie avresti passato una seratina di puro relax. Se prendevi a nolo Boys don't cry ti saresti sparato nelle gonadi, tanto per capirsi. C'era qualcosa di molto intimo in quella finestrella. Scegliere un film e rendere partecipe qualcuno di questa scelta significa in qualche modo mettersi a nudo, raccontare a un perfetto estraneo qualcosa di sè. Forse è proprio per questo che nel giro di poco tempo, se sei un noleggiatore serio, quel "perfetto estraneo" che ti noleggia i film è destinato a diventare ben altro che un estreneo. Diventa un confidente, un amico, una via di mezzo tra uno spacciatore e un terapeuta. Ed è così, infatti, che attorno a quella finestrella si raggruppavano tutti i cinefili incalliti del quartiere, tutti coloro che come te vedevano nel "tipo che noleggia i film" qualcosa di diverso dal semplice "tipo che noleggia i film". Ed è così che l'occasione di un noleggio diventava l'occasione di una chiacchierata, di un confronto, talvolta pure di qualche lite furente. Ogni scusa era buona per restare a fare quattro chiacchiere in quel luogo un po' defilato, nei pressi della finestrella. Non c'era mai estraneità attorno a quella finestrella. Non ci si poteva sentire anonimi quando si stava appoggiati lì a ragionare di un film.
Ebbene, qualche giorno fa sono andata da Y. R. e ho scoperto l'atroce novità:  niente più finestrella, niente più zona riservata a noi "pochi ma buoni", amanti del videonoleggio e delle chiacchiere di qualità. Nella prima sala sono stati uniti cd e dvd. Il bancone del noleggio adesso fiancheggia il bancone dove si comprano i cd.
Adesso siamo nella mischia, sempre e comunque, anche quando si noleggia un film. Adesso tutti condividono tutto. Vuoi noleggiarti un film e l'intero negozio sa cosa hai scelto. Tutto è molto più impersonale, anonimo... forse più pratico, più veloce, più funzionale.... Ma è tutto in piazza, è tutto condiviso.
Io purtroppo non sono tipa da piazza. Non sono tipa da grandi numeri, da "devo condividire tutto con tutti". Ho sempre pensato che l'autentica condivisione sia cosa assai rara. Non si può condividere tutto perché è come condividere niente. Non si può condividere con tutti perché se non c'è selezione non c'è qualità.
Be', ad ogni modo questo è quanto. Le cose cambiano al mondo e non ci si può far nulla. Bisogna saper superare certi traumi e andare oltre. Bisogna saper crescere, suppongo.
Non è più l'era della Pimpa da molti anni; probabilmente non è neppure più l'era della finestrella.


-Chicchirichì chicchirichì
-E' già ora di tramontare?
-Si, buonanotte
-A domani

Dialogo tra un gallo e il sole, tratto da Buonanotte Pimpa!

lunedì 14 febbraio 2011

La solitudine dei numeri primi

Concordo con Paolo Mereghetti quando, a proposito de La solitudine dei numeri primi, commenta "sembra troppo costruito il gioco di incastri temporali e di raffinatezze visive che fanno incrociare storie e tempi". Concordo pure con Massimo Bertelli che parla di  "troppi flashback" e con Fabio Ferzetti che fa riferimento a "troppi andirivieni temporali, troppe sottotrame, troppe sottolineature". E' tutto forse eccessivo nell'ultimo film di Saverio Costanzo, tutto un po' costruito, cerebrale... si direbbe un'operazione calligrafica. Non è un film semplice, insomma, non è spontaneo.
Eppure a me questo film è piaciuto, e anche parecchio. Riconosco le sue mancanze ma devo ammettere che è riuscito a inquitarmi, infastidirmi, disgustarmi, intenerirmi e anche intrigarmi. Mi ha coinvolto e al contempo  mi ha creato un discreto disagio.
Costanzo ha rivisitato in chiave decisamente orrorifica (in molte sequenze viene in mente Argento) un romanzo già di per sé angoscioso: il grande cast e l'uso magistrale della luce e della musica fanno di questo film un'opera degna di nota. Non perfetta ma senza dubbio da vedere.

domenica 13 febbraio 2011

Tamara Drewe

Ho sempre ritenuto Stephen Frears un regista assolutamente sottovalutato. Se penso a film come Le relazioni pericolose, Alta fedeltà o The queen non posso fare a meno di riflettere su quanto sia ingiusto che un nome come il suo sia conosciuto e considerato da appena tre gatti.
Ieri sera sono stata a vedere Tamara Drewe, il suo ultimo film. Una commedia tipicamente inglese molto leggera ma anche molto ben fatta. Mi sono divertita un sacco e ho staccato la testa da una lunga sequela di pensieri che mi stavano veramente fracassando quelli che non ho. Si può dire, vero?
Quando, per citare un vecchio amico (nonché il bambino più figo della mia classe delle elementari, un vero giusto) "ti girano le palle tanto da far sentire il vento fino al Sudtirolo", una commedia come questa può essere veramente la panacea di tutti i mali. E poi diciamocelo, la classe degli inglesi, c'è poco da fare, si contraddistingue sempre; ancora di più se l'inglese in questione si chiama Stephen Frears.
La trama ve la faccio breve. Siamo in un paesino brittanico disperso nel nulla, in una una pensione per scrittori. Da un giorno a un altro nel paesino arriva lei, Tamara Drewe, giovane e attraente giornalista. Tamara non è bellissima, è molto di più. Lei incarna il sogno proibito, ha il dono straordinario della sensualità. Inutile dire che dopo neppure un'ora dal suo arrivo l'intera comunità maschile va in ciampanelle. Nessuno capisce più nulla e ne succedono di cotte e di crude.
Il cast è eccellente e il mix di sana ironia e cattiveria pura è veramente ben riuscito: una ricetta calibratissima.
Insomma, in Sudtirolo saranno stati contenti, ieri sera. Stephen Frears ha fatto calmare il vento.

venerdì 11 febbraio 2011

La vittima e il carnefice


Questa è una foto di Oliviero Toscani. Oliviero Toscani non è esattamente una di quelle persone capaci di suscitare in me particolare stima o simpatia. Quel che è certo, però, è che uno come lui riesce sempre a far parlare di sé, in un modo o nell'altro.
La foto risale a qualche anno fa ma risulta ancora tragicamente attuale.
Sono più di dieci milioni, in Italia, le donne che dichiarano di aver subito una qualche violenza all'interno delle mura domestiche - se io che scrivo non faccio parte di questi dieci milioni, ci sarà certamente una mia amica, collega, parente che invece ne fa parte... la cosa inquieta assai, non trovate?
Questa domenica in moltissime città italiane verrano organizzati cortei in difesa della dignità delle donne.
Gad Lerner un lunedì si e l'altro pure affronta l'annosa questione dell'immagine femminile in Italia e del profondo maschilismo di questo paese. Ammirevole, anche se probabilmente la sua stessa ossessione per il tema della donna maltrattata, umiliata, mercificata e svilita in ogni forma, denota il senso di colpa per un latente maschilismo.
Ad ogni modo, tornando alla foto, mi sento di dire solo questo: personalmente non condivido la tesi di Oliviero ma a prescindere da ciò ritengo interessante mostrare quest'immagine. Fa pensare. E' provocatoria, scomoda e quindi a mio parere molto stimolante.

giovedì 10 febbraio 2011

Il divo

Il cinema italiano è ormai da tempo associato a piccole storie di vita quotidiana, tutte familiari: donne con la cirisi di mezza età, matrimoni sull'orlo dello sfacio, adolescenti ribelli e gay più o meno caricaturali. Sembra che in Italia non si sappia parlare di altro. Sembra che senza una Margherita Buy nevrotica o uno Stefano Accorsi in cerca di ritrovare se stesso il cinema italiano non abbia niente da offrire.
E invece non è così. C'è ancora qualcuno - casi rari ma pur sempre degni di nota - che sa guardare oltre, che sa riflettere e far riflettere su tematiche diverse, di più ampio respiro.
Giorni fa su LA7 hanno trasmesso Il Divo, ottimo esempio di ciò che cercavo di dire poco fa. In un panorama a mio avviso piuttosto desolante, rivedere alla televisione un film come questo è motivo di grande entusiasmo.
Si resta impressionati dinnanzi alla sguardo grottesco e surreale che caratterizza questo film; si resta inevitabilmente colpiti dalla forza attrattivo-repulsiva di Toni Servillo nei panni di Andreotti e dalla caratterizzazione a dir poco istrionica di tutti gli altri personaggi. Si torna a pensare, cosa di questi tempi assai rara, che le immagini possano veramente raccontare qualcosa: si rivaluta la forza espressiva di una bella inquadratura e la potenza straordinaria del montaggio.
Che dire... Sorrentino, grazie!

mercoledì 2 febbraio 2011

Addormentarsi senza tasche

Di solito chi si mette le mani in tasca cerca conforto. Nelle tasche ci si aspetta sempre di trovare qualcosa di conosciuto, di familiare. E' difficile avere brutte sorprese da una tasca. A voi è mai capitato?
A me di solito capita il contrario. Talvolta ci trovo dentro inaspettatamente qualche banconota dimenticata lì da tempo. Sul momento in genere non me ne capacito: "Ma come ho fatto a mollare qui dentro tanti soldi?" Invece poi ci penso e tutto mi torna: la tasca è il luogo sicuro per eccellenza, per questo ci si lascia dentro ciò che abbiamo di prezioso.
Esistono diversi "film tasca": sono quelli che puoi guardare trenta volte di seguito senza mai annoiarti. Sono quelli che conosci a memoria e che vai a ricercare sullo scaffale ogni qualvolta ti senti giù di corda (tutte le volte che cerchi conforto, appunto). Sono quelli che parlano di te, della tua intimità, di quello che tieni dentro le tasche e che per te ha valore.
I "film tasca", ti accompagnano nella vita, sono pezzi imprescindibili della tua esistenza.
Non sono dei "film gelatino" e neppure dei banali "film preferiti". Elisabethown può essere un "film  gelato": adorabile, ma pur sempre effimero. Una consolazione da poco, adatta a una sera come tante.
La donna che visse due volte, invece, può essere un perfetto film preferito ma certo non un "film tasca". 
Ebbene, stasera vorrei veramente salutarvi con una bella citazione da uno dei miei "film tasca". Vorrei, una volta tanto, donarvi una piccola perla di conforto. Il tipico conforto di quando ci si mette le mani in tasca, appunto. Purtroppo, manco a farlo appositamente, mi trovo costretta a deludervi.
Ho visto di recente un pezzetto di film in cui compariva la parola "buonanotte" e così ho pensato a voi. Peccato che non fosse esattamente un "film tasca".




Buona notte dolce principe, e voli di demoni ti conducano al tuo riposo.
Intervista col vampiro

sabato 29 gennaio 2011

Hereafter

Ci sono dei film che vai al cinema, li vedi, e il giorno dopo è come se non li avessi mai visti. Hereafter, l'ultima opera di Clint Eastwood, per per me è uno di questi.
Non posso parlarne male. Semplicemente non so cosa dirne perché in sostanza non capisco cosa questo film abbia voluto dire a me.
Se dovessi definirlo in quattro parole credo me la caverei così: "ben fatto ma inutile".

mercoledì 26 gennaio 2011

The box

Se ognuno di noi potesse pigiare un pulsante su una scatola e guadagnarsi un milione di dollari, determinando però la morte di una persona sconosciuta, l'umanità si estinguerebbe in fretta. Per il globo terraqueo sarebbe una fortuna, per il genere umano un po' meno.
Il regista di Donnie Darko traspone per il grande schermo un romanzo di fantascienza dal titolo Button Button; l'autore del romanzo è Richard Matheson.
La prima metà del film (a detta di molti, fedele al romanzo) è assai inquietante. La vicenda intriga parecchio, alcune immagini son suggestive e il ritmo regge: non c'è spazio per eventuali cascaggini. Il secondo tempo invece peggiora. Il regista sembra partire per la tangente, infila nel calderone tutto e il contrario di tutto, finendo per annoiare un po'.
Conclusione? L'uomo è un essere spregevole, è vero. Ma questo si sapeva anche prima di The box.

domenica 23 gennaio 2011

La banda del porno

Mio padre tempo fa mi ha detto: "Se metti degli uomini attorno a un tavolo, senza donne accanto, stai certa che quegli uomini tireranno fuori il peggio di loro. Usciranno commenti volgari e sessisti anche da chi in apparenza non penseresti mai possa dire certe frasi."
Non so esattamente per quale motivo mio padre abbia voluto in un colpo solo annientare completamente la mia fiducia nel genere maschile, fatto sta che questa sua frase mi ha dato da riflettere.
Forse la volgarità è insita nell'essere umano, ancor più che nel maschio in quanto tale. Forse tutti, chi più chi meno, quando pensano di essere in un contesto dove nessuno li giudica, tirano fuori "il peggio di loro". Ma poi cosa significa esattamente tirare fuori il peggio di sé? E soprattutto, siamo proprio sicuri che la gente tiri fuori il peggio di sé solo quando nessuno la può vedere-sentire e quindi di conseguenza giudicare? Oggi come oggi, almeno in Italia, il cattivo gusto sembra essere qualcosa da esibire, più che da celare.
Be', ad ogni modo sarò onesta: il sesso, con tutto ciò che lo riguarda più o meno indirettamente, è una roba molto complessa. Io in genere fatico a dar giudizi sugli usi e i costumi altrui. Sovente lo stesso concetto di volgarità o di cattivo gusto è un qualcosa di molto relativo: non è tanto legato al tema di cui si parla ma alla modalità con cui si affronta, probabilmente.
La banda del porno, ad esempio, è uno di quei rari film con la straordinaria capacità di toccare un tema di per sé delicato senza mai scadere nella volgarità. Fare un film su un disoccupato di mezza età - interpretato dal favoloso Jeff Bridges - che decide di riscattarsi producendo un porno amatoriale insieme a degli amici, è un'operazione assai rischiosa. Probabilmente in Italia il risultato di un simile azzardo sarebbe stato disastroso. Forse quel famoso "peggio di sé" di cui parla mio padre sarebbe venuto fuori in modo patente, senza alcun filtro.
Michael Traeger, invece, porta a termine la sua missione con grande classe: il film strappa diverse risate e si contraddistingue per soavità. Ovviamente non ho idea di cosa esca dalla bocca di questo regista qualora si trovi da solo con altri uomini. Quel che è certo è che, almeno in questo film, ha saputo parlare di sesso con intelligenza ed estrema finezza.