mercoledì 30 giugno 2010

An education

Periferia di Londra, inizio anni '60. Una sedicenne piena di interessi e aspirazioni incontra David, affascinante trentenne, che la introduce nella bella vita londinese e le fa perdere la testa. La giovane rinuncia così ai suoi ambiziosi progetti di studi per sposarsi con l'uomo, ma ben presto le cose cambiano e l'idillio sembra svanire. 
Un commento sul film, in pochissime parole? Il quadretto dell'Inghilterra dei Beatles è  senza dubbio molto accurato. Gli attori funzionano e complessivamente An Education risulta un buon prodotto. Peccato che l'emozione sia pressoché inesistente.

venerdì 18 giugno 2010

Copia conforme

Arte: cosa significa la parola arte? Qual è il suo senso profondo nella vita umana? Un oggetto è artistico di per se stesso oppure lo diventa sulla base della nostra relazione con esso? Perché un quadro originale di Picasso vale di più di una sua riproduzione? In fondo l'originale crea molti più problemi al suo proprietario di quanti non ne crei la copia.
Cosa è veramente autentico in questo mondo? Un matrimonio può dirsi autentico in quanto ufficialmente riconosciuto dallo Stato oppure in quanto funzionante? E' possibile sentirsi intimamente vicini a qualcuno che conosciamo appena? E se ciò è possibile, si tratta in quel caso di una vicinanza reale oppure no? Cosa rende intrinsecamente autentico un legame, un gesto, una carezza, uno sguardo, un sentimento? Dov'è il confine tra verità e finzione?
Come mai tra uomini e donne la comunicazione è sempre tanto difficile? Come mai sovente non riusciamo ad accattere le debolezze dell'altro, malgrado questa incapacità ci faccia sentire profondamente soli? Come può accadere che a un certo punto della vita la persona con cui stiamo da sempre smetta di vederci? Come è possibile sentirsi invisibili agli occhi di qualcuno, che per noi diventa importante anche solo se ha cambiato profumo? Perché  la vita in due è così' tremendamente difficile? Perché fatichiamo a coltivare sentimenti stabili e duraturi? Perché finiamo vittime della noia, della routine, del tempo che passa?
Copia conforme è un film che in un modo o nell'altro non si dimentica: la macchina da presa è spesso immobile, caratteristica di per sè non necessariamente negativa, ma potenzialmente mortifera se i dialoghi non son scoppiettanti (e in questo caso posso garantirvi che non lo sono). Non c'è musica, non c'è azione; la trama è pressoché inesistente.
Kiarostami sembra voler riflettere su diverse tematiche, ma è come se non sapesse scegliere su quale di queste concentrarsi realmente. Il tempo passa e gli interrogativi si accavvallano, uno dopo l'altro. Prima si parla di arte, poi della natura umana, poi dell'incomunicabilità. Alla fine nessuna domanda trova risposta e nessun tema viene realmente approfondito. La carne al fuoco è molta, probabilmente troppa. Se il film fosse durato meno, e soprattutto se avesse deciso in modo chiaro dove andare a parare sarebbe stato un gran film. Certo, un film un po' pacco, di quelli da serata intellettuale; ma comunque avrebbe avuto un suo perché. Invece qui il perché si fatica a comprendere. Sono molti gli spunti interessanti, ma a fine film, se anche si è riusciti a scampare le cascaggini, viene onestamente da chiedersi: "si, e quindi?"   

domenica 13 giugno 2010

Un'ottima annata: quando anche la scontatezza ha un suo perché

Un broker londinese, vero e proprio squalo della finanza, si trasferisce in Provenza, per tentare di vendere una villa con vigneto ereditata dallo zio defunto. I ricordi d'infanzia, il fascino straordinario della campagna francese, e l'incontro con una giovane donna del paese innescano gradualmente - qualcuno obietterebbe "troppo poco gradualmente" - la metamorfosi.
La commedia di Ridley Scott, infarcita dall'inizio alla fine di sdolcerie e luoghi comuni, è uno spot da azienda del turismo che potrebbe competere con il Kenneth Branagh di Molto rumore per nulla (in quel caso lo spot veniva fatto alla Toscana).  Russel Crowe, il protagonista, appare forse un po' impacciato, ma fa tenerezza, nella sua sfacciata languidità. L'elogio del vigneto è scontatissimo e le macchiette sui francesi sembrano fatte a posta per innervosire.
Ruffiano, banale e assolutamente non realistico il film ha comunque un suo perché, una sua capacità di far riflettere e fantasticare. E' pieno zeppo di errori eppure risulta gradevole: una favola elegante.
Mereghetti sostiene che quando alle favole si mette troppo zucchero queste smettono di essere credibili. Onestamante dissento. Una favola o una fiaba non deve essere credibile: deve farti sognare. Quando mai può venire in mente di rifarsela con Biancaneva perché non è un personaggio realistico? Io dubito che possa succedere. Ci son cose alle quali si decide di credere. Non perché siano ragionevolmente credibili, ma perché si ha bisogno di farlo.
Ho visto un concerto dei Pearl Jam, anni fa. Eddie Vedder, quarantacinque anni compiuti, si scatenava come un pazzo e io mi domandavo come ciò fosse possibile. Ovviamente conoscevo la risposta più plausibile, ma mi rifiutavo di prenderla in considerazione. "Si sarà fatto la peggio roba", commentava la gente. "Tutte malignità", pensavo io.
L'immagine del gruppo rock integerrimo, onesto dentro, animato dalla sola passione per la musica,  etc etc è assolutamente favolistica. Eppure dare 50 euro a un gruppo così mi pesa meno che darli a un gruppo come tanti.
Per farla breve e per tornare al film: Ridley Scott non ha confezionato un film realistico, bensì una favola. Sta allo spettatore prenderla per quello che è.

giovedì 10 giugno 2010

In her shoes

Alle volte uno certi film li vede nel momento sbagliato. Io ricordo di aver visto questa commedia familiare del regista Curtis Hanson poco dopo la sua uscita, nel 2005. Forse ero stanca, forse ero sfavata, forse semplicemente non ero in vena di vedere un film. Fatto sta che lo vidi e lo trasferii nel dimenticatoio molto presto.
Sere fa ho avuto il piacere di rivedermelo in dvd, in lingua originale e con i sottotitoli. Mi son ricreduta. Non è un capolavoro, ma è molto ben recitato e ha un buon ritmo. Raramente il film sfiora la melensaggine; nel complesso però la visione è gradevole.

P.S.: la poesia citata a fine film, di E. E. Cummings, è semplicemente bellissima.

domenica 6 giugno 2010

The road

Lo premetto: non ho letto il romanzo da cui il film è tratto. Sono andata al cinema a vedere The road e del romanzo sapevo poco o nulla.  Avevo in mente una sola cosa: l'ambientazione sarebbe stata apocalittica; roba da fine del mondo, insomma.
Effettivamente così è stato: il film mette in scena un classico futuro fantapocalittico, o distopico che dir si voglia. Un padre e un figlio che vagano per lande  completamente devastate, ormai coperte solo di macerie e un'umanità ridotta ai minimi termini, pronta a tutto pur di sopravvivere.
Ecco, arrivata a questo punto della recensione non so più cosa scrivere. Temo che il film non mi abbia lasciato molto altro. Splendide fotografie di una cupezza inenarrabile, due attori che fanno senza dubbio una buona prova e alcuni temi, forse anche interessanti (rapporto padre-figlio, viaggio di formazione, dilemmi di tipo morale, simbolismo cristologico, etc etc), ma appena accennati, mai veramente approfonditi. Questo è quanto. Affascinante, ma un po' fine a se stesso, a mio avviso.