venerdì 29 gennaio 2010

I giorni dell'abbandono

Quanto ha ragione Roberto Faenza: l'abbandono è qualcosa che devasta. Il dolore può trasformarci al punto tale da farci far cose che mai avremmo immaginato di fare. Quando ci si sente traditi, umiliati, feriti nell'orgoglio si finisce col perdere se stessi. Se viene meno la fiducia in chi si ama viene meno ogni certezza. Di punto in bianco tutto ciò che conta sembra sgretolarsi e allora parte il meccanismo di negazione; poi si reagisce con rabbia o ci si butta su un letto restando inermi per ore; poi ancora si urla, ci si dispera, ci si incazza come iene... si va fuori di testa, c'è poco da fare.
Roberto Faenza, con I giorni dell'abbandono, ci racconta tutto questo: una donna di mezza età  improvvisamente annichilata dal tradimento del marito. Un'esistenza distrutta, disintegrata. Peccato però che il regista non riesca a tessere il suo racconto senza ricorrere a visioni simboliche di dubbio gusto, luoghi comuni di ogni genere e dialoghi imbarazzantemente finti. Margherita Buy e Luca Zingaretti son bravissimi, ma molte scene tra l'onirico e l'allucinatorio abbassano un po' il livello del film e certi dialoghi, specie quelli dei bambini, fanno quasi impallidire.
Ancora una volta, davanti a un film italiano, ho la sensazione che non si riesca mai ad uscire dal cliché. Che peccato!

mercoledì 27 gennaio 2010

Moon

Sam Bell, un' astronauta, deve stare tre anni da solo sulla luna, a lavorare per una società energetica, Lunar, che raccoglie elio 3, risorsa fondamentale per la sopravvivenza della terra. All'interno della base, Sam è circondato dalla tecnologia - un robot di nome Gerty lo aiuta in ogni situazione -, ma vive nella solitudine più estrema. Può comunicare con il mondo ma sempre per via indiretta, attraverso messaggi registrati: un guasto satellitare gli impedisce di avere conversazioni dal vivo con la moglie o la figlia. Fin qui niente di nuovo. Ci troviamo davanti al classico film di fantascienza che affronta il complesso rapporto tra gli uomini e le macchine. Un po' 2001 Odissea nello spazio, per intendersi. Un giorno però Sam ha un incidente sul lavoro e da quel momento tutto cambia. Quello che succede non lo svelo perché non voglio rovinare a nessuno il gusto della visione. Ciò che posso dirvi, però, è che quest'opera prima del figlio di David Bowie improvvisamente muta registro e ci fa interrogare sul rapporto che ognuno di noi ha con se stesso, con la propria identità.
Film claustrofobico, minimalista, scevro da effetti speciali, ma senza dubbio (forse proprio per questo, chissà) capace di far riflettere. E scusate se è poco.

sabato 23 gennaio 2010

Valzer con Bashir

Quando il cinema si confronta con la guerra, di solito lo fa tendendo al massimo realismo. Fa strano pensare a un film d'animazione che parli di guerra; fa strano pensare a un film di guerra che non sia intriso di sangue ed effetti speciali a palla.
In effetti, a onor del vero, Valzer con Bashir, opera del regista israeliano Ari Folman, non è esattamente un film di guerra; non è neppure un film contro la guerra, malgrado il messaggio pacifista si faccia sentire, e anche bello forte. E' un film sulla memoria e sui vari meccanismi che la mente umana mette in atto per proteggere l'uomo dal ricordo di orrori e violenze inaccettabili. Gli orrori in questione sono quelli della guerra in Libano, avvenuta nei primi anni '80. Quella guerra che ha visto migliaia di palestinesi cadere vittime dei falangisti cristiani libanesi, con la complicità del governo israeliano.
Il film, realizzato con disegni scarni ed essenziali, è una sorta di documentario, una raccolta di testimonianze di ex soldati, che cercano con fatica di ricordare momenti drammatici della loro esperienza in guerra.
Di sangue, come dicevo, se ne vede ben poco. L'iper-realismo è lontano anni luce. Le immagini sono semplici, estremamente sobrie: eppure hanno una forza notevole, forse proprio perché appaiono per noi inconsuete. Complimenti, insomma, ad Ari Folman non soltanto per quello che ha deciso di dire, ma soprattutto per l'originalità con cui ha saputo dirlo. Bella la scelta di concludere il film con una serie di fotografie di repertorio che mostrano il massacro. Il passaggio dai disegni alle foto è un vero e proprio pugno nello stomaco.

venerdì 22 gennaio 2010

Soul kitchen

Due sere fa ho visto Soul kitchen, commedia turco tedesca dedicata alla città di Amburgo. Ne avevo sentito parlare parecchio, ed ero molto curiosa: sembrava essere, a detta della critica, una commedia da non potersi perdere. Onestamente non è così. E' un film carino, come ce ne sono tanti. Nulla di più e nulla di meno.

lunedì 18 gennaio 2010

Changeling

Che Clint Eastwood sappia usare con maestria la macchina da presa non è esattamente una di quelle notizie che fa sgranare gli occhi. Lo sappiamo, insomma, il vecchietto ci sa fare. Quello che invece qui colpisce è la sua evidente incapacità di approfondire gli aspetti spicologici della vicenda che narra: ed è un peccato, perché così il film perde molti punti.
Il reale non è mai tutto bianco o tutto nero. Gli esseri umani non sono mai solo vittime o solo carnefici. Non esistono buoni senza macchie e cattivi senza tentennamenti. Clint, in passato, ha sempre saputo raccontare le sue storie con il tatto, la saggezza ed il buonsenso di chi questa cosa l'ha capita bene; con Changeling invece no. Qui i cattivi lo sono fino in fondo e i buoni non hanno cedimenti. Qui le sfumature non esistono e, tutto sommato, anche le motivazioni profonde degli eventi sono piuttosto tirate via. 
Che dire... anche i grandi talvolta deludono.

domenica 17 gennaio 2010

Per chi ama le "scritture di luce"...

Ieri son stata alla Strozzina, a vedere la mostra Realtà  manipolate, che purtroppo finisce oggi - lo so, avrei dovuto parlarvene prima, chiedo venia.
Di cose affascinanti ne ho viste diverse, ma un autore in particolare ha attirato la mia attenzione. Voi che ne pensate? Se non è questa una scrittura di luce...
Sugli aspetti tecnici non mi dilungo: basta dire che tutti gli elementi sono a fuoco perché l'immagine è il frutto di una assemblaggio tra foto diverse. Ebbene si, non è fotografia "pura". Ma che vor di'? - direbbero a Roma. I puristi potranno dissentire, ma a mio avviso il senso di irrealtà e l'atmosfera rarefatta che traspare da quest'immagine è grandioso, a prescindere da tutto. 
L'artista in questione, Gregory Crewdson, viene da Brooklyn, è del 1962 e vive attualmente a New York.  Questo è il lato dell'America che ci mostra, il lato forse più oscuro. Buttate un occhio al suo sito, che merita.

Untitled, 1998

mercoledì 13 gennaio 2010

Una notte da leoni

Qualcuno tempo addietro mi ha detto che sembro una sempre "presa male". In effetti, se leggo la lista di titoli recensiti su questo blog, mi accorgo di non essermi impegnata molto per dare di me un'immagine solare. A prescindere da quanto la definizione di "presa male" mi si addica, vorrei cogliere l'occasione per sfatare, qualora fosse necessario, l'idea che a me non piacciano le commmedie. Le commedie mi piacciono eccome, solo che trovarne di ben fatte non è cosa da poco. Ieri, ad esempio, ho visto in dvd una commedia statunitense deliziosa dal titolo Una notte da leoni. Una di quelle commedie prive di velleità alcuna. Un film volontariamente, fieramente e spassionatamente idiota. La vicenda è semplice: quattro uomini vanno a Las Vegas per un addio al celibato. La mattina seguente alla sfrenata notte di festaggiamenti il gruppo si risveglia nel caos più totale: uno di loro ha perso un dente; un'altro non trova più le mutande. Come se non bastasse nel loro bagno compare una tigre e lo sposo, invece, è sparito. Cosa sarà mai successo? Il cast è azzeccatissimo, le gag non mancano e il ritmo regge dall'inizio alla fine. Insomma, l'ideale per una serata all'insegna della leggerezza.







venerdì 8 gennaio 2010

Drag me to Hell

Il cinema horror-gotico si contraddistingue da sempre per la presenza di elementi ricorrenti: castelli diroccati, boschi infestati da presenza maligne, giovani donne in pericolo, cigolii di porte o cancelli, finestre che sbattono. C'è sempre qualcosa che minaccia il quieto vivere, una forza ignota, oscura. Ma non è tutto: sovente, specie a partire dagli anni '70, questo genere cinematografico vede la compresenza di due registri, il comico e il "terrorifico" (basterebbe citare Mario Bava, ad esempio). Come se si trattasse di due facce della stessa medaglia; o forse, per meglio dire, come se l'unica vera strategia per difendersi dall'ignoto fosse farsi una risata, appunto.
Il film di Raimi non disattende le aspettative, ma anzi ricalca perfettamente i codici del genere: mette in scena la vicende di una giovane donna dal viso rotondo e dalla pelle candida (avete mai visto una donna con la pelle olivastra in un film horror? No, le donne devono sembrare cadaveriche), in lotta contro una tremenda maledizione. Volendo attualizzare un po' il tutto, evita il castello diroccato; non risparmia, però, in fatto di porte cigolanti e finestre che sbattono. Condisce poi con qualche sana vomitata verde e un pizzico di critica sociale. Diverte e spaventa al tempo stesso, come sempre hanno saputo fare tutti i film di questo regista, da La casa in poi.
Sia chiaro: deve piacere il genere. Chi non ama la commistione di splatter, risate e puro brivido, fa bene ad astenersi. Non potrà che annoiarsi davanti a Drag me to Hell. Peggio ancora, lo troverà ridicolo. A tutti gli altri invece consiglio vivamente la visione. Le due ore passano in fretta, i colpi di scena non mancano e il messaggio lanciato (fate attenzione, cari spettatori, perché l'essenza del maligno si nasconde dietro il denaro, dietro i borghesi e gli arrampicatori sociali) è senza dubbio degno di attenzione.

giovedì 7 gennaio 2010

The wrestler

Vi avverto: se cercate originalità scansate questo film. Il wresteler Mickey Rourke, anti-eroe per eccellenza, guerriero ormai fallito e pronto all'autodistruzione, è un personaggio tutt'altro che innovativo; la sua storia è colma di cliches, non fa che confermare dei luoghi comuni.  In The wrestler, insomma, non accade nulla che non si possa facilmente prevedere e soprattutto che non si sia già visto in qualche altro dramma. Il protagonista vive perennemente in bilico tra celebrità ed emarginazione: sul ring, dove regna la finzione,  è un vincente; nella quotidianità della vita vera non ne fa una giusta. E' rifiutato da una figlia alla quale non ha saputo far da padre; frequenta una spogliarellista che non vuole però impegnarsi seriamente con lui. E' un uomo solo, affettivamente vuoto. L'emblema di chi paga il prezzo di una vita vissuta nell'individualismo più sfrenato.
Quello che veramente colpisce del film è l'interpretazione di Michey Rourke: un attore che sembra stia raccontando se stesso più che il personaggio da lui interpretato. Quella che vediamo sullo schermo altro non è che la parabola discendete di un grande divo del cinema: si tratta delle sue sconfitte, del suo deterioramento fisico, della sua incapacità di gestire il successo. Il lottatore di wrestiling in fondo è solo una facciata. Attore e personaggio diventano insomma un tutt'uno in questo dramma di devastazione e solitudine.
Per concludere: l'opera di Darren Aronofsky è un vero e proprio classicone degno di un western americano o di un film di Eastwood, come qualcuno ha commentato. Non stupisce, non racconta nulla di nuovo. Però senza dubbio non passa inosservato.

martedì 5 gennaio 2010

Ehi, tu!



Lo scorso anno sono stata due settimane in Africa, in Burkina Faso e nel Mali, due paesi dell'Africa occidentale. Per una serie di vicissitudini che non sto qui ad alencarvi, di questa esperienza ho ricordi un po' confusi. Anzi, mi correggo: molti ricordi sono perfettamente nitidi, ma è come se appartenessero a una persona diversa da me. Come se in quei luoghi ci fosse stato un altro. Credo di esser stata poco presente a me stessa, insomma. Come drogata, alienata forse dai troppi stimoli, dalla troppa diversità, dal confronto con qualcosa che ancora oggi temo di non saper gestire. Il discorso è complesso, e come vi dicevo non voglio tediarvi. Mi limito a mostrarvi una foto, una delle tante "visioni" avute in questo strano trip di quindici giorni. Un'immagine che rappresenta per me il "fulcro" di quanto ho cercato di dirvi appena sopra: in questa foto è condensato ciò che più arrichisce e insieme spavanta. La  mia passione per Alfred Hitcock mi aveva fatto intitolare questa foto La finestra sul cortile, ma, ripensandoci, Ehi, tu! è forse il titolo migliore. Meno raffinato, ma diretto.

lunedì 4 gennaio 2010

E' tempo di bilanci

E' iniziato da poco un nuovo anno: è tempo di bilanci. Solitamente bilanci e classifiche vanno di pari passo. La gente ha bisogno di classificare; attribuire voti a tutto e ordinare gerarchicamente è un'attività che diverte, c'è poco da fare. Io però questa volta non stilerò classifiche. Non vi dirò quali sono a mio giudizio i cinque migliori film usciti nel 2009, né tanto meno i cinque peggiori; non vi mostrerò le dieci foto più rappresentative dell'anno appena passato né vi elencherò i tre migliori libri di cinema letti nel 2009. Mi limiterò ad offrirvi qualche suggestione, nulla di più. Vi segnalerò alcune cose che han tenuto in attività le mie sinapsi nel corso dell'anno, fornendomi interrogativi su cui riflettere, nozioni da approfondire, etc, etc. Ma tutto questo senza scale e gerarchie, sia chiaro.
Ok, tanto per iniziare parliamo di cinema:Lasciami entrare è uno dei grandi film usciti nel 2009. Un bel horror scandinavo che interpreta in chiave originale il tema del vampirismo. Una storia d'amore tenera e insieme inquietante tra un ragazzino e una giovane vampira. Se ve lo siete perso è senza dubbio il caso di rimediare, anche perché la Stoccolma notturna che ci mostra questo film è veramente affascinante. Come vi dicevo poco sopra non voglio stilare pagelle, per cui mi limito a dirvi che il film merita una certa considerazione.
Il 2009 è stato anche l'anno in cui un giovane regista italiano, nonché mio conoscente, Federico Bondi, ha vinto il festival di Locarno con Mar Nero, storia di un'amicizia fra una anziana signora e la sua badante rumena. Un film delicato e divertente, pur nella sua amarezza. Capisco che a voi l'episodio dica poco, in fondo si sta parlando di un regista esordiente, ma per me è stato piuttosto emozionante. Se ti è capitato di pranzare insieme alla famiglia di uno, che poi ha vinto al festival di Locarno con la sua prima opera, puoi illuderti che un giorno, per la celebre teoria dei sei gradi di separazione, conoscerai perfino Woody Allen... e scusatemi se è poco!
Veniamo alle letture: nel corso dei miei studi universitari ho coltivato un interesse crescente per la semiotica visiva e mi sono dilettata con diversi saggi sulla fotografia. Nel 2009 ho finalmente trovato un libro di critica fotografica, cosa piuttosto rara, per dirla tutta. Si chiama Leggere la fotografia, di Augusto Pieroni ed è un manuale molto interessante. Come ho fatto a capire che il libro mi piaceva? Da questa frase qui: "Per raggiungere un giudizio istintivo che non sia inconsapevole e filisteo, l'unica è approfondire la conoscenza e poi dimenticare le nozioni per poi riappropiarsi della naturalezza". Ecco, per quel poco che ho studiato fino ad ora, credo di poter dire che condivido a pieno questa considerazione. Mi sono sempre chiesta se esista o meno un'oggettività nell'analisi e nell'interpretazione di una qualsivoglia forma artistica. Per un breve periodo, a seguito del mio difficile ma entusiasmante incontro-scontro con la Semiotica, mi sono quasi illusa di aver risolto praticamente tutti i miei problemi, da questo punto di vista. Mi pareva di aver trovato tutte le risposte. Però ovviamente non era così. Ha ragione Pieroni: conoscenza tecnica e naturalezza non possono prescindere l'una dall'altra. Mai.
Sempre restando in tema di letture quest'anno, o meglio quello appena conclusosi, ho ricevuto in regalo da un carissimo amico un bel libro di semiotica cinematografica su La finestra sul cortile. Il libro, di Cosetta G. Saba, che si intitola appunto Alfred Hitchcock. La finestra sul cortile , è uscito da poco in libreria e io l'ho appena cominciato. Non posso quindi dire che abbia segnato profondamente il mio 2009, ma son fiduciosa che mi dia interessanti spunti di riflessione per il 2010, per tanto ve lo cito. Poi, magari, se ne riparlerà con calma a lettura finita.
Infine due parole sulla pittura: fino ad oggi non ho mai parlato di pittura in questa sede, malgrado il mio blog sia, almeno a livello formale, un blog di cinema e arte visiva in genere. Il fatto è che sono piuttosto ignorante in materia, per questo tendo a non addentrarmi nel terreno. Di storia dell'arte ho dato un solo esame e senza raggiungere risultati propriamente esaltanti, tanto per intendersi. Ciò detto, già che siamo a chiacchierare del 2009, mi sento di dirvi questo: ho scoperto durante un soggiorno a Siena, lo scorso agosto, l'esistenza di un pittore toscano che mi ha parecchio incuriosito. Ho visto infatti la mostra Zone di silenzio, di Piero Ardenghi, nato nel '43 a Montalcino. Quella mostra, con quella serie di dipinti dai colori espressivi, apparentemente esplosivi, ha rappresentato un momento piacevole di una mia vacanza a giro per la Toscana, nonché l'occasione per conoscere un artista di cui non sapevo nulla.
Con questo direi che ho chiuso. Se c'era qualcosa che volevo raccontarvi di questo mio 2009 credo di averlo fatto. E perdonatemi se mi son dilungata. Oggi son stata proprio logorroica, lo so. Vi prometto che la prossima volta sarò più celere. Buonanotte a tutti e soprattutto buon anno nuovo.